Di riunioni scolastiche e recite di Natale

Tardo pomeriggio. Riunione di classe.
Brusio continuo. Ad ogni punto dell’ordine del giorno c’è chi commenta con “mio figlio ha detto così-il mio cosà-il mio fa questo-il mio va su e il mio va giù”.
Forse queste cose si potrebbero dire al colloquio personale, no?
La riunione prosegue.
“Avete qualche cosa da dire riguardo alla festa e alla recita di Natale?”
Qualcuno commento con un “bellissimo”, qualcun altro con un “sono rimasto sbalordito” qualcuno ancora con “proprio bella”.
Una mamma decide di dire la sua.
“Ho apprezzato che rispetto allo scorso anno la scelta del tema della recita fosse più semplice e più comprensibile per i bambini (avevano messo in scena S. Francesco e l’invenzione del presepe). Noto però che i bambini vivono tutto con un po’ di stress”.

La mamma voleva solo sottolineare che forse, se la festa si semplificasse ancora di più, tutto sarebbe vissuto con più serenità da tutti.
La mamma, sotto sotto, voleva chiedere: “Qual è la spinta educativa della recita? Per chi si fa? Per i bambini? Non mi pare, visto che è una fonte di ansia e agitazione. Per soddisfare l’ego di qualche genitore? Per far vedere quanto la scuola è brava a fare costumi, costruire scenografie e organizzare cori?”
Non poteva dirle, però, tutte queste cose. E allora ha solo accennato alla questione dell’agitazione, per far passare velatamente il messaggio che i bambini e il loro modo di vivere le cose viene prima di tutto.
Il messaggio, tuttavia, non è stato minimamente compreso.

Forse questa mamma doveva essere più chiara.
O forse questa mamma si fa troppi problemi (ed è una rompicoglioni).